venerdì 2 settembre 2011

Stato dell'arte: allegato al progetto


I processi di destrutturazione del mercato del lavoro degli ultimi decenni si sono accompagnati ad una crisi dei riferimenti collettivi nella vita sociale e dell’azione solidale da un lato e ad una accentuazione del discorso pubblico sull’individuo dall’altro (Vitale 2009). Più di un autore ha richiamato l’attenzione sulla complessità del rapporto tra declino delle forme collettive di rappresentanza (e di protezione e libertà individuale) e necessità di “ricerca di un equilibrio tra l’esigenza di emancipazione dalle forme di protezione date e quella di una rinnovata insicurezza contro i rischi della vita” (Paci 2005, 49; si vedano anche Bauman 2001 e Castel 2004). Altri hanno analizzato la tendenza alla vittimizzazione delle fasce deboli del mercato del lavoro, cui non è riconosciuta spesso alcuna capacità di azione e di mobilitazione collettiva nonché libertà di scelta, tanto che in alcuni casi si sfocia nella “criminalizzazione” di questi soggetti, soprattutto qualora si tratti di immigrati irregolari (Ferrajoli 2009).


La Campania appare da questo punto di vista una regione particolarmente interessante per i processi di de- industrializzazione e, più in generale, di trasformazione economica e sociale che l'hanno attraversata nell'ultimo decennio. La progressiva destrutturazione vissuta dall'economia campana, in cui si apre la possibilità di utilizzare il lavoro nei modi più flessibili, ha determinato fenomeni che hanno anticipato prassi e politiche di regolazione che si sono successivamente imposte a livello nazionale. Ma non è solo da questo punto di vista che la Campania appare un osservatorio di particolare rilievo: la specificità della regione è infatti anche quella che in essa le rappresentanze sindacali hanno, prima che altrove, vissuto una profonda crisi di capacità rappresentativa e conseguentemente visto ridursi, in parte anche come effetto delle loro scelte, la loro funzione tradizionale, con l’effetto di una decisa riduzione della loro capacità di far rispettare norme universalistiche di reclutamento. Ciò ha comportato anche un significativo alleggerimento del loro peso contrattuale, specie nelle numerose vertenze di crisi in cui si minacciava la chiusura degli impianti.
Si può avanzare l’ipotesi di lavoro che in Campania, almeno in parte, le forme della rappresentanza sindacale, confederale e non, abbiano teso col tempo a ricollocarsi anche in quello che si può definire un mercato più specificamente politico. In esso in gioco non è l’interesse generale della rappresentanza, ma piuttosto quello particolaristico di specifici e piccoli gruppi di lavoratori che assumono a riferimento qualche esponente locale di questo o quel partito, nella consapevolezza che ormai, nella situazione economica e sociale determinatasi nella regione, la tutela di interessi collettivi trova sempre più difficilmente sbocchi positivi e dunque rimane solo quella di interessi individuali o di gruppo, che può essere garantita in modo molto più efficace da forme di mediazione esplicitamente e direttamente politica (eventualmente prestate anche da questo o quell’esponente sindacale) rispetto alle tradizionali modalità di rappresentanza sindacale. Se questo affidamento alla mediazione politica appare dominante nel caso di quanti non hanno lavoro, esso appare comunque prevalente anche per quanti hanno un lavoro stabile. E qui ci si riferisce anche agli stessi lavoratori dipendenti: essi vivono infatti problematiche di difesa della qualificazione, del rapporto salario-qualifica, della continuità del reddito, ed infine anche dell’esercizio dei diritti sindacali di base, che appaiono evidenziare l’inadeguatezza delle forme tradizionali di tutela e suggerire non infrequentemente la ricerca di forme di rappresentanza che ricalcano spesso le forme della mediazione politica (Ramondino, 1977; Gribaudi, 1991; Fantozzi, 1993 ).
Il mercato politico, sul quale operano in parte anche i sindacati, può divenire così uno dei luoghi prevalenti di mediazione di questi interessi, specie quando si riferiscono ad aree di occupazione non tradizionale, e quindi anche della loro rappresentanza. E' la condizione del contesto che si propone di analizzare che rende più evidente e focalizza in modo particolare anche la situazione di scarsa o nulla rappresentanza che investe alcuni gruppi e categorie di lavoratori la cui presenza, per la dimensione e le peculiari caratteristiche, appare estesamente connotare il mercato del lavoro della regione. Si tratta di categorie che sfuggono ancor più di quelle tradizionali al raggio di azione del sindacato. Ci si riferisce qui anzitutto a quanti, per la loro collocazione in aree di lavoro atipico o precario, si incontrano una gran difficoltà, a trovare nel sindacato e nelle sue strutture, territoriali e settoriali, un interlocutore capace di difenderne gli interessi e, più in generale, di rappresentanza. Ora, se è probabile che queste aree siano inclini, a loro volta, ad utilizzare il mercato e la mediazione politici, è altresì probabile che esse sviluppino anche forme nuove, più dirette e, verosimilmente, più caduche di rappresentanza dei propri interessi. E’ anche a quest’ultimo livello che l’indagine intende effettuare un approfondimento, volto a far emergere se vi siano e quali forme originali di rappresentanza, diverse tanto da quelle tradizionali di tipo sindacale quanto anche da quelle, messe in evidenza più sopra, relative al cosiddetto mercato politico. Occorre tuttavia sottolineare come, al di là della letteratura di tipo generale sul declino del sindacato e della sua capacità di rappresentanza (Accornero, 1992; Baglioni, 2008; Baglioni e Garibaldo, 2010; Boeri e Garibaldi, 2008; Braga e Carrieri, 2007; Carrieri, 2004; Cella e Treu, 2009; Megale, 2008; Regalia, 2009), la letteratura specifica alla rappresentanza di queste figure precarie sia sostanzialmente inesistente. Sotto questo profilo, uno degli aspetti originali della ricerca proposta consiste proprio nel favorire un primo accumulo di materiali in questo che risulta un campo piuttosto carente di studi. Le indagini sull’occupazione precaria nell’area campana e nel Mezzogiorno ed alcune evidenze empiriche degli ultimi anni sul tema segnalano che in regione vi sono in particolare tre gruppi di lavoratori precari che hanno un peso significativo nell’area ed evidenziano altresì significativi problemi di rappresentanza: occupati precari giovani e con titolo di studio elevato, lavoratori pendolari a lungo raggio e immigrati in agricoltura. Gli occupati giovani con elevato titolo di studio sono in Campania, come in molte altre parti del Paese (Altieri, 2009; Piccone Stella (a cura di), 2007; Villa, 2007; Palidda, 2009; Gallino, 2007), una componente significativa del lavoro atipico presente, anche in ragione dello iato che si registra tra elevato livello di scolarità della popolazione ed opportunità di impiego corrispondenti: questa componente è spesso impiegata con contratti di lavoro atipici in occupazioni, ad esempio nei call center, in cui vi sono fortissime difficoltà di rappresentanza. I lavoratori pendolari a lungo raggio rappresentano un fenomeno molto caratterizzante della regione, anche se quantitativamente, in un mercato del lavoro così esteso come quello campano, non possono essere significativi anche per dimensioni: questa componente, tuttavia, stenta – anche in ragione delle peculiarità della prestazione lavorativa- a trovare adeguata rappresentanza (Svimez, 2008 e 2009; Istat 2008; Isfol 2006; Viesti 2010). Gli immigrati che in agricoltura “seguono il prodotto”, cioè si dedicano stagionalmente alla raccolta, sono stati protagonisti di recenti fatti di ordine pubblico (cfr. gli episodi di Villa Literno e quelli occorsi nell’area casertana e, per opportuno confronto, anche quelli di Rosarno in Calabria all'inizio del 2010).

Nessun commento: